Autismo e Pet Therapy
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Ispirato dalla preziosa testimonianza del professor Iacovo riguardo l’onoterapia per sostenere soggetti affetti da ASD ho deciso di approfondire il tema di autismo e pet therapy cercando spunti tra gli articoli scientifici, a mio avviso, più interessanti sul tema.
La sindrome dello spettro autistico include un’ampia gamma di deficit delle funzioni sociali e mentali, spesso difficili da trattare. In ragione di questa complessità si verifica una carenza di trattamenti disponibili per l’ASD, secondo alcuni autori infatti non esiste una prova univoca che affermi quali trattamenti siano efficaci e quali no, ma molto probabilmente la soluzione più efficace è quella di adottare approcci multipli e specifici per ciascuna sfumatura dello specchio. Dal momento che l’autismo include un ampio corteo sintomatologico è necessario cambiare il processo attraverso il quale i sintomi vengono classificati affinchè sia possibile una diagnosi precoce ed un miglioramento dei trattamenti stessi (Levy et al., 2009). Attualmente l’obiettivo dell’intervento terapeutico è quello di mirare alle problematiche principali dell’autismo, ovvero socializzazione e comunicazione seguendo un approccio multidisciplinare. Gli attori fondamentali di questi interventi sono le scuole con classi appositamente dedicate e, ovviamente, le famiglie. Esistono terapie dello sviluppo con duplice obiettivo: migliorare la comunicazione e educare i genitori ad interfacciarsi proficuamente con il soggetto autistico e ad organizzare la propria casa e altri strumenti ausiliari (Levy et al; 2009). In ogni caso queste iniziative sono pensate per potenziare la funzionalità del bambino e rettificare le carenze nei principali settori compromessi. Se necessario queste tecniche possono essere applicate assieme o separatamente, ma comunque nessuno di questi trattamenti può risolvere in maniera permanete l’ASD, né tantomeno alcun trattamento farmalogico (Levy et al 2009). Parallelamente al tentativo degli individui autistici in età infantile di compensare i deficit tipici della loro condizione, è necessario che i genitori si adattino a questi cambiamenti e promuovano una vita quanto più simile a quella degli altri bambini.
Negli ultimi tempi si stanno affermando diversi approcci alternativi che ambiscono a diventare forme terapeutiche essenziali. Uno di questi è la pet therapy, una disciplina che suscita un interesse crescente e diversi studi mirati ad indagarne l’efficacia (Hanson et al 2007). La maggioranza di queste ricerche impiega cani e cavalli per le terapie, riscuotendo successo tra i partecipanti e tra i familiari degli stessi. In questi studi gli animali vengono coinvolti in maniera interattiva e i pazienti affetti da autismo riportano un miglioramento della loro condizione, difatti è stato suggerito che la pet therapy incrementi il funzionamento sociale, emozionale o cognitivo degli individui coinvolti (Janssen; 1998). I più grandi limiti di queste sperimentazioni sono la mancanza di gruppi di controllo e la ristrettezza dei campioni coinvolti, pertanto sarebbe opportuno che i futuri studi coinvolgano campioni più popolosi e disegni sperimentali più rigorosi al fine di affermare la pet therapy come approccio valido al trattamento dell’ASD. Gli individui affetti da autismo faticano a concentrarsi e a rispondere in modo appropriato agli stimoli sensoriali, oltre ad avere difficoltà a comunicare con gli altri. Ciascuno di questi aspetti viene migliorato con l’esposizione alla pet therapy (Ward, 2013).
Numerosi studi supportano l’efficacia della pet therapy, ad esempio alcune ricerche affermano che questi bambini tendono a preferire immagini di animali a quelle umane e risultano meno ricettivi al suono della voce umana rispetto ad altri stimoli (Grandgeorge et al., 2012). Altre evidenze sostengono che introdurre un cane nella vita di un bambino con ASD riduce i livelli di stress, ansia, irritazione e contestualmente promuove la costruzione di un ambiente più rilassato (Berry et al 2013). Attualmente molte prove sono state effettuate, in una review mirata a valutare le terapie coadiuvate da animali è emerso che le specie più largamente sperimentate, come accennato in precedenza sono cani e cavalli. Tutti gli studi esaminati in questa review riferiscono miglioramenti in una o più categorie sintomatiche dell’autismo (O’Haire; 2013). Un ulteriore studio ha investigato i benefit sociali e sensoriali che l’equitazione terapeutica potrebbe elicitare sui bambini affetti da ASD, i risultati hanno evidenziato un incremento nelle capacità comunicative e una riduzione nella severità complessiva del quadro sintomatologico valutato dall’ autism index. Inoltre, l’effetto positivo dell’intervento non è stato osservato solamente nel contesto terapeutico bensì anche nelle classi di scuola a detta degli insegnanti cui era stato assegnato un registro dove annotare gli eventuali miglioramenti prodotti dall’esperimento (Ward et al; 2013).
3.1 Quali animali impiegare?Nella review di O’Haire sulla terapia assistita da animali per il trattamento dell’ASD è emerso che gli animali più largamente impiegati, come accennato pocanzi, sono cani e cavalli. Tuttavia, nella stessa review si afferma che è necessario svolgere ulteriori ricerche affinchè si capisca quale specie sia più indicata, nonostante non vi fossero differenze significative in termini di efficacia terapeutica tra le specie sopra citate. Per quanto riguarda la pet therapy con i cani alcuni ricercatori hanno individuato una diminuzione nei comportamenti problematici in aggiunta alla riduzione di un parametro ormonale stress-correlato (CAR: cortisol awekening response) con l’introduzione di un cane all’interno di una famiglia con individui autistici. Difatti, quando quest’ultimo è stato rimosso il CAR è risalito di nuovo suggerendo che questa variazione nella misura neuroendocrinologica fosse davvero dovuta alla presenza del cane. Questi dati trovano conferma nella letteratura scientifica che descrive un effetto fisiologico calmante dovuto all’interazione umano-animale (Odendaal et al 2003; Allen et al 2002). Gli interventi terapeutici con i cani sono generalmente impostati su brevi interazioni con l’animale, in presenza del terapista che segue un determinato protocollo di ricerca basato su attività uno a uno per stimolare i comportamenti sociali e l’uso opportuno del linguaggio. (Redefer e Goodman; 1989) hanno osservato che in seguito all’introduzione di un cane amichevole all’interno di una sessione terapeutica bambini affetti da ASD particolarmente problematici hanno manifestato un incremento spiccato nella frequenza d’uso di linguaggio verbale e non verbale, parallelamente ad una diminuzione dell’isolamento dei soggetti. Questo miglioramento è stato osservato persino a un mese dalla sessione, seppur in misura inferiore.
Viceversa, in un altro studio è emerso che l’introduzione di cani nella routine di bambini autistici provoca l’incremento del battito di mani, un sintomo correlato a situazioni di stress dovute alla ricezione di stimoli sensoriali esterni troppo elevati che i cani potrebbero aver esacerbato.
Ad ogni modo per valutare in maniera più accurata l’effetto degli animali sui livelli di stress è opportuno analizzare variabili fisiologiche come il tenore di cortisolo parallelamente alla prosecuzione dell’esperimento al fine di chiarire la correlazione tra terapia e stress (Viau et al 2010).
3.2 Caso studio: L’interazione dei delfini con i bambini ASD
Esistono vari programmi fondati sull’interazione tra delfini e pazienti con patologie diverse e disturbi dello sviluppo, che hanno stimolato l’interesse di numerosi studiosi ad approfondirne l’efficacia terapeutica e i benefici (Nathanson; 1998) (Breitenbach; 2009).
Il fatto che i delfini siano percepiti come animali socievoli, curiosi, comunicativi, collaborativi ed intelligenti ha promosso la nascita spontanea di profonde relazioni con gli umani, con possibili effetti terapeutici (Fawcett et al 2001; Brensing et al 2003). Nonostante il fascino popolare suscitato da questo straordinario animale, la valutazione scientifica delle strategie terapeutiche che lo coinvolgono sono scarse e talvolta contrastanti. La “Dolphin Assisted Therapy” (DAT) è stata vagliata in un numero relativamente basso di studi e molto spesso con gravi limitazioni metodologiche (Marino et al 1998; Adams 2010). Anche se la rigorosità metodologica dovrebbe essere la norma negli studi scientifici, risulta impossibile osservare l’effetto della sola terapia con i delfini in uno scenario clinico ovvero discernere l’effetto della suddetta terapia da quello di altri trattamenti intrapresi che potrebbero essere seguiti dai soggetti coinvolti. Tuttavia, alcuni risultati sebbene sub-ottimali sono clinicamente interessanti e meritano ulteriori approfondimenti (Pavlides ;2008).
Materiali e metodi
Sono stati selezionati 10 bambini affetti da sindrome dello spettro autistico secondo una diagnosi effettuata dall’autorità regionale educativa di Algarve. Con il benestare delle famiglie dei bambini lo studio è stato portato avanti presso il parco marino Zoomarine vicino Albufeire in Portogallo. L’età dei bambini al momento della diagnosi spaziava dai 3 anni e sei mesi fino a 13 anni e sei mesi, l’età media si è attestata sui 6 anni e 9 mesi. 8 ragazzi e 2 ragazze, una delle quali africana mentre gli altri 9 erano caucasici. Uno dei bambini erano affetto da ASD mentre gli altri nove da disturbi pervasivi dello sviluppo non meglio specificati. Tutti i partecipanti hanno completato il programma e il consenso informato delle famiglie è stato fornito per via scritta. I soggetti sono stati valutati applicando diversi test come il CARS (Childhood Rating Scale Schopler et al. 1986) articolato in 15 item e 5 fattori che seguono i criteri di Stella et al (1999). I fattori sono: la reattività emotiva, la comunicazione sociale, l’orientamento sociale, l’esplorazione sensoriale (gusto, tatto e olfatto), la consistenza cognitiva e comportamentale. L’analisi dei dati è stata eseguita sulla somma dei risultati di Item e fattori (Stella et al 1999). Inoltre, è stato impiegato il test PEP-R, ovvero un test dello sviluppo psicoeducazionale dedicato ai bambini affetti da ASD (Schopler; 1990) ripartito in 11 sotto scale, sette delle quali focalizzate sullo sviluppo Imitazione, percezione, destrezza, coordinazione occhio-mano, performance cognitiva e verbale, infine un giudizio generale. Le restanti 4 sono dedicate all’aspetto comportamentale (cooperazione e interesse nell’umano, gioco e interesse nei materiali, risposte sensoriali e linguaggio). È stato utilizzato anche il test ATEC, descritto in precedenza. Ancora, è stato sperimentato un protocollo di valutazione sviluppato appositamente per valutare la capacità mentale dei bambini. Il materiale sviluppato da Hadwin,Baron-Cohen, Howlin e Hill (1996) e Howlin, Baron Cohen e Hadwin (1999) per insegnare ai bambini a “leggere la mente” è stato adattato allo studio in qualità di strumento valutativo. Questo strumento è organizzato in una procedura a 5 livelli di difficoltà crescente nello svolgere determinati compiti. Il primo finalizzato a riconoscere le facce presenti nelle fotografie, il secondo a identificare le emozioni da disegni stilizzati, il terzo a individuare emozioni legate al contesto, il quarto a riconoscere le emozioni determinate dal desiderio, infine il quinto a trovare le emozioni basate sulle credenze. Dal momento che l’obiettivo era valutare le abilità dei bambini nel valutare gli status emozionali il campionario di fotografie è stato ridotto da 144 a 38. Quattro foto sono state esposte per il primo e secondo livello mentre per i livelli tre e quattro sono state selezionate, rispettivamente, 6 e 12 foto in ordine randomizzato. Nel quinto livello 12 immagini sono state scelte ognuna delle quali necessitava 2 risposte. I risultati sono stati registrati in una tabella secondo il giudizio “successo o fallimento” con punteggio variabile da 0 a 252. L’ultimo strumento di valutazione impiegato è stata una griglia di valutazione composta di 52 item comportamentali di complessità crescente, usati per giudicare il comportamento dei bambini in ciascuna sessione.
La ricerca si è svolta nell’intervallo temporale compreso tra febbraio 2003 e febbraio 2005, durante il quale ciascuno dei 10 bambini ha affrontato 6 sessioni di valutazione, tre prima del programma d’interazione e tre successivamente (Fig 1). Tra una sessione e la successiva è intercorso un tempo dai 3 ai 4 mesi per valutare la persistenza dei cambiamenti comportamentali.
Figura 1 linea temporale dello studio |
Ogni procedura di valutazione ha incluso l’analisi di report clinici precedenti, interviste alle famiglie, osservazione clinica del bambino e applicazione di una batteria di strumenti in presenza di familiari, insegnanti e terapisti. Ogni bambino è stato sottoposto ad un programma settimanale di dodici sessioni, spendendo 15 minuti in acqua. Le interazioni hanno avuto luogo in una piscina al coperto. I delfini (Turisiops truncatus) selezionati per l’esperimento sono stati scelti dagli istruttori dopo un’osservazione comportamentale e motivazionale. Questi mammiferi vivono secondo un regime di allevamento estremamente avanzato e premiato per attenzione al benessere animale. Di norma partecipano a programmi commerciali del tipo “nuota con il delfino” per i quali vengono effettuate delle normali sessioni di allenamento con il metodo del rinforzo positivo (Ramirez; 1999). L’attenzione dei delfini è sempre rivolta ai gesti degli istruttori anche quando stanno interagendo con altre persone. In questo studio ciascun bambino è stato accompagnato dallo psicologo e dall’istruttore nel suo ingresso in acqua e da qui condotto verso i delfini per favorire il contatto. Lo psicologo è intervenuto solo laddove il bambino ha manifestato paura, ansia o comportamenti capaci di compromettere l’interazione. L’istruttore ha giocato un ruolo fondamentale nel promuovere l’interazione, partendo da azioni semplici come toccare il delfino fino ad azioni progressivamente più impegnative come nutrire o addirittura nuotare con il tursiope. Il contesto durante l’interazione è stato mantenuto il più possibile giocoso e piacevole. Quando il bambino ha palesato un atteggiamento ostile verso un determinato compito ne è stato proposto uno alternativo. Contestualmente laddove un delfino ha dimostrato stress o comportamenti avversi, è stato sostituito con uno più incline alla cooperazione. Tuttavia, durante il programma non è stato segnalato alcun comportamento aggressivo da alcun delfino e solo un breve episodio di irrequietezza da parte di un bambino, senza conseguenze. Tutte le sessioni sono state filmate ed analizzate da due osservatori che hanno valutato la complessità comportamentale dei bambini secondo i parametri della griglia di valutazione dell’interazione pocanzi descritta.
Discussione
In questo studio sono riportati dati accumulati durante un’indagine esplorativa riguardo un programma d’interazione con delfini e dieci bambini diagnosticati con ASD. L’obiettivo è stato quello di individuare ogni possibile effetto, sulla popolazione esaminata, dell’interazione avvenuta una volta a settimana per 12 settimane. Tuttavia, il campione limitato di bambini e di sessioni svolte assieme alle altre terapie intraprese dai bambini nel medesimo periodo di sperimentazione, potrebbero aver sortito confusione sui risultati. Ciononstante, alcuni risultati sulla condizione clinica e sullo sviluppo di questi bambini hanno mostrato cambiamenti significativi che suggeriscono ulteriori approfondimenti. Come valutato dal test PEP-R, cambiamenti significativi sono stati osservati nelle sezioni “sviluppo generale”, “sviluppo dei movimenti fini”,”performance cognitiva” e “ sviluppo verbale cognitivo”. Risulta doveroso evidenziare che questi miglioramenti sono stati rilevati 11 mesi dopo l’interazione, dunque l’effetto è stato ritardato oppure dovuto a fattori esogeni. Dall’altra parte la griglia di valutazione dell’interazione, che registra il comportamento dei bambini durante l’interazione coi delfini ha mostrato un interessante evoluzione nella complessità comportamentale. Tuttavia, è possibile che l’incremento di tale parametro sia dovuto all’aumento di familiarità con il contesto o all’abilità di psicologi e/o istruttori nel promuovere interazioni più complesse. Per quanto riguarda il test CARS la severità dello scenario clinico non è stata interamente mitigata dal programma sebbene ci sia stato un cambiamento statisticamente rilevante sull’aspetto della comunicazione non verbale. Questo parametro risulta importante per lo sviluppo dell’intersoggettività e, successivamente, del linguaggio (Braten et al. 2007).
Relativamente al test ATEC, considerato da certi ricercatori come un importante strumento di valutazione, non ha fornito prove riguardo miglioramenti terapeutici. Il test ToM Task’s adaptation ha evidenziato un pallido incremento nei punteggi parallelamente all’avanzamento delle prove, probabilmente perché i bambini si sono adattati e abituati agli esercizi proposti. I bambini autistici coinvolti nell’esperimento hanno generalmente partecipato con interesse e tutti i genitori durante i follow-up hanno affermato che il programma fosse positivo per lo sviluppo dei loro figli. Difatti, i genitori hanno sostenuto il programma di ricerca con entusiasmo e dedizione accompagnando i propri figli per un anno e mezzo ed esprimendo addirittura la volontà di continuare lo studio.
Figura 2 Box e plots che descrivono l'evoluzione comportamentale dei bambini durante le sessioni |
Come riportato in altri lavori (Breitenbach et al 2009; Brensing et al 2003), il contesto dove avviene l’interazione con il delfino riveste un ruolo fondamentale nel favorire l’accettazione da parte del bambino e l’interesse della famiglia. Nella figura 2 la parte superiore della retta rappresenta la massima complessità comportamentale del bambino, mentre la parte inferiore la minima complessità comportamentale. Il limite inferiore del box rappresenta il primo quartile e il limite superiore il terzo quartile, la linea in mezzo al box è la mediana (Salgueiro et al. 2012). Tuttavia, il potere di suggestione esercitato da queste opportunità richiede grande attenzione da parte del ricercatore (Marino e Linfeld 1998; 2007).
Conclusioni
Nonostante i modesti, ma sta statisticamente significanti, miglioramenti osservati in certe sezioni dello sviluppo dei movimenti fini, della performance cognitiva e sviluppo verbale, il programma non ha influenzato il quadro clinico generale dell’autismo. Pertanto, questo studio non dichiara un progresso conseguente al programma d’interazione con i delfini che però rimane un’attività coinvolgente e che merita ulteriori approfondimenti. Anche se è palese che non possa essere un trattamento risolutivo di un disturbo talmente articolato come l’autismo, è possibile che possa avere successo come terapia complementare e integrativa ad altre.
Sebbene molti esperimenti siano stati eseguiti per indagare l’intimo rapporto terapeutico che lega l’uomo agli animali, sono necessari ulteriori sforzi affinchè si capisca come sfruttare al meglio queste relazioni. Trovare un approccio vincente corroborato da un solido disegno sperimentale che individui la chiave di applicazione dell’interazione tra animale e soggetto autistico porterebbe indubbi benefici ai soggetti stessi e a cascata sulle relative famiglie e comunità.
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